Il tempo dell’infanzia nell’albo di Bruno Zocca
Quanto potrà essere stato in bagno il bambino protagonista di questo albo?
Noi lettori abbiamo un unico riferimento obiettivo: la tranquillità con cui la madre gli si rivolge verso la fine del libro: non essendosi preoccupata, sappiamo che da quando è entrato nel bagno non è passato “troppo” tempo, quello che invece un adulto riterrebbe necessario per poter pensare tutto ciò che passa per la testa del bambino.
Lo spazio di questo libro di Bruno Zocca e la riflessione che ne scaturisce omaggiano la cameretta di Max, che, per quanto stravolta da abbattimenti di pareti, torna a essere il luogo rassicurante dove il protagonista trova una cena
“ancora calda”.
Non, però, senza elementi enigmatici che problematizzano il concetto di tempo, esterno ed interno, come la luna nel libro di Sendak e il petalo che cade dal vaso di fiori in quello di Zocca.

L’autore veronese porta il suo lettore fuori, gli fa percorrere universi senza limiti, da mari in tempesta ad oscuri abissi, per poi tornare dentro l’hortus conclusus del bagno, descrivendo con minuzia di particolari uno tra i giochi più popolari e stimolanti per i bambini, quello dei travestimenti, anche se qui sono solo ipotizzati.
Il protagonista contempla la possibilità di diventare un oggetto, un animale, un agente atmosferico, persino il sole, la nostra stella di riferimento; il bambino di Zocca si pensa anche giardino, uno luogo che porta con sé ciò che lo popola, piante e animali. Il suo gioco simbolico è per dirla con Winnicott “un’area intermedia di esperienza”, che il bambino non considera né reale né finta, ma possibile come il periodo ipotetico a cui accenna la domanda del titolo.
L’autore, che da poco ha ricevuto la Sendak Fellowship, realizza un libro sovversivo come la tendenza naturale dei bambini a confutare costantemente il principio di non contraddizione o del terzo escluso, e ad immaginare un mondo diverso, dove l’unica legge è quella della fantasia.
Il libro di Zocca è scritto dalla prospettiva del bambino: l’autore sa interpretare con grande ironia le intuizioni dell’infanzia, la sua mirabile apertura alle possibilità, che non è scetticismo ma un genuino “sapere di non sapere” misto a un graduale afferrare le cose del mondo senza pregiudizi.
Il bambino di Zocca si fa domande su se stesso, andando definendo sempre più la propria identità; i dubbi che ha su di sé, li ha anche su altri, ad esempio sul suo inseparabile gatto.
“Chi sei tu?” ha ripetuto per molto tempo mia figlia intorno ai 3 anni, ponendo lo stesso quesito in maniera indistinta a persone e a oggetti inanimati, con mio grande divertimento e, dirò, preoccupazione, quando, come fosse in un viaggio lisergico, in un bagno – sarà un caso? – pose l’enigmatica domanda esistenziale a un porta carta igienica.
Zocca scrive e illustra un libro essenzialmente e forse involontariamente lacaniano dall’inizio alla fine: ognuno di noi impara a riconoscersi nella propria immagine riflessa allo specchio – così inizia il racconto – e guardando la mamma – che verso la fine della storia non a caso interviene.

L’albo di Bruno Zocca getta luce sulla quotidianità significante dei bambini, ne documenta con ironia un’attività mentale incessante, proponendo come cifra stilistica quella della semplicità, ma solo all’apparenza: offre al bambino un’occasione in più per liberare la propria fantasia, esplicitando i propri desideri – svegliarsi tardi, mangiare dolci, allontanarsi dal buio – rivelandosi per noi adulti una finestra sull’infanzia e il suo universo emerso e sommerso.
Quanto potrà essere stato in bagno questo bambino? Il tempo dell’infanzia, che all’adulto è concesso conoscere solo se sa fermare il suo orologio; un tempo fatto di scoperte, di esplorazione emotiva che, passando per dubbi, inquietudini e compiacimenti dei sensi, concorre straordinariamente al benessere del protagonista.
“E se fossi qualcos’altro?” è pubblicato da Lupoguido.