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Gli animali spaziali di Massimo Caccia

Massimo Caccia dipinge animali, lo fa ormai da tanto tempo, concentrandosi costantemente sugli incontri, anche improbabili, tra due o più esemplari appartenenti a specie diverse. Le pitture dell’artista lombardo, istantanee quasi fotografiche, hanno elementi ricorrenti, a cominciare dallo spazio del dipinto, che è quadrato, essenziale, dal background tendenzialmente monocromo, delimitato da pennellate a vivo sui bordi.

I suoi animali sono spaziali proprio nel senso letterale dell’aggettivo: la loro forma e l’azione nella quale sono impegnati o che stanno per compiere sono strettamente correlati allo spazio che abitano e che non abitano, ai pieni e ai vuoti che Caccia ama bilanciare alla Enzo Mari: i suoi soggetti, la cui ripetizione sembra quasi acquisire una dimensione etica, sfidano i sensi comuni, le leggi fisiche, i pregiudizi di noi osservatori, invitando a una riflessione sulla potenza e sull’atto.

courtesy Massimo Caccia

I cani sanno usare il proprio naso come farebbero delle foche, abili circensi nate; una lumaca resta aggrappata sorprendentemente a una superficie in pendenza riuscendo a non cadere; il suo “gadrillo” – unione di gallo e di coccodrillo – e la sua “cignola” – unione di cigno e puzzola -, pur dovendo tanto a Lewis Carroll e al Dr. Seuss, hanno la freschezza di esemplari nuovi, originali, sovversivi binomi visuali alla Rodari che uniscono insieme mondi diversi.

Tra sfondo e figura nei dipinti di Caccia c’è una continuità cromatica; l’artista accosta tinte quasi in scala, differenti a volte solo per tonalità; a sorprendere non sono quindi gli abbinamenti di colori, ma gli incontri che qui accadono: tra code, i cui proprietari non ci è dato conoscere con certezza ma solo immaginare, tra elefanti e alberi, tra noi spettatori e strutture totemiche stravaganti, al cui vertice troviamo inaspettatamente una penna invece che un animale, come suggerirebbe il resto della costruzione verticale.

courtesy Massimo Caccia

Ogni elemento nei dipinti di Caccia è ben delineato; l’artista utilizza un’evidente riga nera, una sorta di ligne claire, probabilmente ad indicare il limite tra un corpo e un altro, tra figure e sfondo, che altrimenti non sarebbe chiaro nel gioco ad incastri che ama tanto Caccia e, con lui, noi osservatori. C’è sicuramente un piacere estetico nel poter giocare con la geometria, nello sperimentare e perdurare in equilibri precari, nel posizionare corpi che si incastrano e non si scontrano, forme che quasi si modellano a vicenda creando un terzo-tutto organico, piuttosto che imporre la loro silhouette solipsistica.

Gli animali di Caccia hanno un tratto distintivo che si riconosce più decisamente degli altri, anche grazie alla sua ripetizione costante: gli occhi, cerchi perfettamente rotondi, sbarrati, che sembrano non sbattere mai le palpebre, al cui centro l’artista disegna una pupilla-puntino. Gli animali, tutti, appaiono tra l’incredulo, l’interdetto e l’allarmato, lasciandoci intendere che sanno di più, che la loro consapevolezza rispetto a ciò che sta succedendo è maggiore della nostra.

courtesy Massimo Caccia

Pur nella sua istantaneità quasi fotografica, nel suo essere frammento di qualcosa che può accadere non necessariamente dentro l’inquadratura, l’opera di Caccia ha una dimensione narrativa; il suo è il racconto della nostra relazione con ciò che umano non è, a cominciare dagli animali, è l’evidenza dell’assurdità antropocentrica; nostra, invece, è la responsabilità di incominciare a guardare “in potenza”, ad immaginare di chi sia la coda che sfugge dall’inquadratura dei dipinti.

Testo di Elena Dolcini

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