Dettagli di una geometria umana
La mano di Susanne Martinet è quella di una donna la cui vita è stata e continua ad essere un entusiasmante percorso conoscitivo, dove la meraviglia occupa un posto centrale. È proprio questo suo stupore inteso come postura esistenziale che viene percepito da chi entra in contatto, anche solo brevemente, con la musicista e insegnante di espressione corporea svizzera e che affascina enormemente i suoi allievi, animati da una simile apertura emozionale. La sua mano, fotografata nell’atto di indicare un tessuto dipinto con pennello e inchiostro, apre la sequenza fotografica di Michela Liverani, che da allieva, pedagogista e fotografa segue da anni il percorso di espressione corporea della Martinet e che in questo “La dimensione silenziosa del corpo” documenta la sua ricerca artistica e gli incontri con gli allievi, dall’inizio dell’insegnamento ad oggi. Lo sguardo di Michela è quello di chi ha studiato fianco a fianco la sua insegnante per tanto tempo, di chi conosce in prima persona l’argomento del proprio soggetto fotografico e in esso ha trovato la motivazione e l’energia necessaria per rinnovare il proprio cammino anche professionale.

Le mani e i piedi sono senza ombra di dubbio i fili conduttori di questo libro fotografico; qui il dettaglio non è solo un particolare o un ornamento superfluo, ma la parte per il tutto che, in una considerazione olistica del corpo, è fondamentale per il benessere dell’intero organismo.
Michela Liverani fotografa i corpi di chi dagli anni Sessanta, insieme e sotto la guida di Susanne Martinet, si è impegnato in un percorso di liberazione, attraverso la percezione consapevole del proprio fisico; il lavoro fotografico di Michela sembra orientato a documentare il divenire nel quale siamo immersi, prima passivamente, poi riconoscendo il nostro essere-corpo, quello degli altri e lo spazio nel quale viviamo, anche temporaneamente. La sua dimensione è silenziosa perché è nell’apertura dell’ascolto, quindi nella paziente attesa di una possibile risposta, che lo possiamo sentire vibrare, accorgerci del movimento, fondamento del nostro agire. I corpi fotografati, la cui energia ha una forza transitiva che arriva all’osservatore anche estraneo a questo lavoro di espressione, sembrano alberi mentre lasciano cadere le loro foglie per rinascere, per liberarsi da comportamenti non essenziali, inutili e per ri-assumerne di sinceri, instaurando anche con gli altri una relazione simile a quella che i bambini intrattengono con la loro fisicità, nella quale non c’è spazio per alcun tipo di artificio.
Forse non è un caso che mia figlia Livia, osservando l’ultima fotografia della sequenza del libro, abbia istintivamente definito bambini le persone sedute in cerchio con Susanne Martinet durante uno stage; una bambina di sei anni e mezzo ha pensato che gli adulti ritratti fossero suoi coetanei, riscontrando, immagino, una somiglianza nella postura insieme raccolta ed estroversa, tipica dei bambini che ascoltano in cerchio la loro maestra, ammirandola, certamente, ma prima di tutto, riconoscendosi parte di un gruppo, anche piccolo, dalle grande potenzialità.
Michela sa fotografare la processualità di un percorso che mai si può dire finito e che permette alla persona di stupirsi continuamente, a partire dal micro, quella dimensione dove possiamo cogliere il macro, strumento di cambiamento per l’uomo che deleuzianamente “diventa-bambino” continuamente; ne è un esempio l’immagine che ritrae due allieve di Susanne Martinet in piedi, probabilmente in un giardino, i cui corpi convergono leggermente l’uno verso l’altro; entrambe sembrano concentrate a osservare le loro ombre con curiosità, non senza dubbi, nel tentativo di approfondire la rappresentazione del loro corpo, riflettendo sulla propria silhouette-nello-spazio, in un rapporto organico con l’ambiente.

Per far conoscere Susanne Martinet anche a un pubblico di non addetti ai lavori, Michela Liverani include nel libro fotografie di oggetti fortemente connotati, una sorta di res extensa al di là del corpo umano che racconta molto dell’insegnante e ne esprime la sensibilità. La sequenza fotografica mette in risalto una corrispondenza tra artefatti e movimenti umani, tra un saper-fare e un saper-essere, sempre in bilico tra fragilità e resistenza; la fotografa osserva ciò che le sta davanti con l’intento di individuare analogie tra elementi diversi, muovendosi all’interno di una materia che l’uomo sa modellare, che sia vetro, legno, o il proprio corpo.
Il libro contiene anche immagini d’archivio, non scattate da Michela Liverani, nelle quali è sempre il corpo ad essere protagonista, insieme ai suoi “temi”, tentativi e prove di connessione con la sua parte più sincera ed espressiva; è sulle estremità del corpo che si concentra la nostra attenzione di osservatori, non solo come parte per il tutto, ma anche in quanto elemento-limite che segna un confine e una relazione, una fine e un inizio, tra il sé e gli altri individui. I piedi, le mani e le dita sono raccordi tra un dentro e un fuori e sostegni per corpi in cerca di equilibrio; spesso l’inquadratura delle fotografie si compone di un reticolato di sezioni: braccia, gambe, canne, nastri creano linee verticali, orizzontali e diagonali che attraversano le immagini e diventano parte strutturale di una geometria umana.
Lo studio rigoroso e la dimensione variabile delle passioni fanno parte in egual misura dell’approccio di Michela Liverani che qui intende la documentazione sia come processo di democratizzazione sia come continua formazione personale e collettiva.
Come in pedagogia, la documentazione fotografica ha una potenzialità stupefacente: strumento di conoscenza, permette il passaggio di informazioni tra il dentro e il fuori, favorendo un dialogo il più ampio possibile tra professionisti ed esterni; cambia l’orizzonte visivo e di pensiero dell’osservatore, che, se si rivede nelle immagini, può più facilmente riflettere sui suoi movimenti e sul suo abitare lo spazio. Infine, la documentazione fotografica, più di qualsiasi altro tipo, consente di osservare il dettaglio, il minuscolo dettaglio che da solo può cambiare il mondo (Germano Zullo, da “Gli Uccelli”, 2010, Topipittori).
Quando Michela racconta la sua esperienza di espressione corporea parla spesso di vibrazioni, moti, alle volte impercettibili, del corpo che, se “scoperti” e interiorizzati, facilitano enormemente quel processo di consapevolezza e libertà che costituisce parte del complesso lavoro di Susanne Martinet; mi stupisce l’ampiezza di senso del verbo “vibrare”, il suo poter essere transitivo e quindi necessitare di un oggetto, come “vibrare un colpo per l’aria”, così come il suo essere intransitivo, il suo bastare a se stesso, perché parola che indica l’azione già nella sua completezza, come in “il corpo vibra”, ad esempio. Quel che emerge del lavoro di Susanne Martinet da “La dimensione silenziosa del corpo” di Michela Liverani è in primis la possibilità del corpo di essere affetto da se stesso, dagli altri e da ciò che di lui il soggetto non conosce, positivamente e negativamente; Susanne Martinet sembra insegnare come aprirci alla bellezza delle relazioni e al benessere che da queste deriva attraverso una riflessione, che è cura ed ascolto del proprio corpo-mente e che ha origine da quel movimento sinonimo di vita.
Michela Liverani, “La dimensione silenziosa del corpo”, 2023, Gente di Fotografia Edizioni, Modena.
Testo di Elena Dolcini